Dolomiti On The Road

Un viaggio in macchina, tra sentieri in alta quota e paesaggi mozzafiato, mentre imperversava la pandemia che ha rivoluzionato le nostre vite. Una scusa per scappare dagli assembramenti all’insegna della scoperta e delle emozioni, fuggendo dai luoghi del turismo di massa.

Come ogni anno, accompagnato da Danilo e Antonio, amici e compagni di viaggio da una vita, ho deciso di concedermi qualche giorno lontano dal caldo asfissiante di una Napoli d’agosto, scappando verso luoghi più freschi e soprattutto lontani dalla calca. Mai come questa volta, l’organizzazione dell’itinerario è stata incerta fino all’ultimo, ma dopo mesi di reclusione forzata, venir meno a una tradizione così importante sarebbe stata una delusione difficile da digerire. Così il viaggio è iniziato risalendo il Lago di Garda verso il nostro appoggio in Val Gardena per raggiungere la tappa che si è poi rivelata essere quella più significativa dell’intero on the road: le Tre Cime di Lavaredo.

Quel giorno il meteo non era dei migliori. Il cielo non preannunciava niente di buono. Un folto banco di nubi scure avvolgeva completamente le Cime, ma quando facevano capolino mi sembravano ancora più imponenti ed affascinanti di quello che immaginavo. La pioggia non si è fatta attendere e ha iniziato a cadere copiosamente a pochi metri dal Rifugio Lavaredo. Non mi sono fatto scoraggiare, al contrario dei tanti turisti presenti che, abbandonando la loro escursione, hanno liberato velocemente l’intero sentiero, rendendo lo scenario e l’intera esperienza più solitaria e spettrale.

La determinazione a proseguire è stata premiata dopo aver superato il dislivello che portava alla Forcella Lavaredo. Pian piano il cielo si è aperto, mostrando in tutta la loro bellezza le Cime, che si sono svelate nella loro iconica vista delle pareti nord. Ho ricominciato a scattare e, una foto dopo l’altra, sono riuscito a catturare la danza delle ultime nuvole che scivolavano tra le facciate verticali delle tre punte. Dopo qualche minuto, totalmente assorto da quello spettacolo, mi sono girato per riprendere il cammino e in quel momento si è composto davanti ai miei occhi uno di quei momenti che si inseguono idealmente da una vita: il sentiero che mi aspettava era incerto e si perdeva allo sguardo, il Rifugio Locatelli non era che un puntino confuso in lontananza e il cielo aveva ripreso a nascondersi dietro ad altre nuvole minacciose. La stanchezza accumulata fino a quel momento era sparita grazie all’adrenalina nel voler proseguire, nella curiosità di scoprire cosa mi aspettava dietro quella svolta celata dalla dorsale ovest del Monte Paterno. Ero consapevole del fatto che quanto osservato e provato lo avrei portato con me per sempre e allora l’ho fotografato con la speranza di trasmettere quelle stesse emozioni a chi avrebbe osservato i miei scatti.

Ad oggi, di quel viaggio ricordo la pace che provavo durante le lunghe camminate nella verde Prato Piazza della Valle di Braies, l’architettura monolitica ed aliena di Zaha Hadid che disegna il Messner Mountain Museen sul Plan de Corones, o ancora la bellezza fragile e ferita del Lago di Carezza sotto il Latemer, teatro, suo malgrado, di una violentissima tempesta di vento che, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2018, ha abbattuto migliaia di alberi nella zona. Lentamente, è in atto una grande opera di rimboschimento, ma quanto tempo passerà prima del prossimo disastro ambientale? Non possiamo subire questi eventi passivamente: il cambiamento climatico è anche questo. Questo non può lasciarci indifferenti ma, bensì, imporci un profondo ripensamento nel nostro rapporto con l’ambiente, a partire nel nostro piccolo dalla vita quotidiana fino ad auspicare un’adeguata ed efficace programmazione dettata da governi sempre più attenti e sensibili alle tematiche ambientali.

Il 2020 è stato un anno assurdo e sfortunato, l’emergenza non è ancora passata, ma questo viaggio ha curato l’insofferenza di quei mesi in quarantena, tra preoccupazione e malinconia. 

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